lunedì 9 aprile 2012

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così si sta a volte.
non si riesce a resistere.
non si riesce a desistere.
solo vento tra le dita.

martedì 19 aprile 2011

è

Non sarò mai al riparo dai fulmini,
Su braci e chiodi di fachiro, il mio cammino danza.
Talvolta, salato di pianto.
Ma ha una bellezza antica e nuova, di battaglie e sangue e profumi e vento.
Nessuna morte fa morire davvero.
Noi che siamo perduti, sopravvissuti al grande inverno,
lunatici e isterici, d'amor denutriti.
Incandescenti di sogni. Vibrazioni carnali.
Puri.
Noi, siamo.
Siamo.
Nonostante tutto.
Siamo.
Ancora nudi.
Ancora bellissimi.
Come la prima volta che ci sorprese l'amore.

venerdì 17 dicembre 2010

Punctum saliens



Ho aspettato crescendo ai bordi dell’acqua.
Andava e veniva, cerchi leggeri e onde di spuma.
I piedi hanno memoria e disegnano cuori su neve spessa.
Il corpo ha memoria e legge scritture braille nelle vertebre di un altro.
Legge il vuoto. Incolmabile spazio di cose che non restano.
Nella vena madre il sangue è congelato.
Nella testa che esplode, nelle mani assenti, nelle ascese ai fuochi e nelle discese alle fiamme.
Nel tempo buono e nella sorte avversa.
Nella paglia che brucia e nel ghiaccio che spegne.
Sto immobile.
Visioni distorte.
Buio oculare.
Tenebre.
L’anima è un  inverno minaccioso, con una sola nube gonfia di lacrime, trattenute all’angolo destro dell’occhio nero.
Crocifiggo parole nel legno nudo dell’inaspettato.
Non bastano più le parole.
Non servono più le parole.
Le parole sono  testamenti bugiardi.
Un inganno del cuore.
Il gheriglio di una noce.
Secca e vuota.


Sentire la profondità degli altri e morirne per il vuoto su cui inciampi, ecco, il dolore.

mercoledì 16 giugno 2010

* eucharist of passion

Sono malato di te.
Virus e anticorpi mi si rincorrono dentro e il mio cuore nuota e galleggia  come diana alla caccia, penelope timida che fa e disfa, caronte arcigno dal remo dorato.
Sono malato di te ora che sei le mie otto leggi Damanhur e il coltello da frutta dalla punta rotonda. Ora che non finisci mai e ti ingoio e respiro, e divori le cattedrali altissime del mio ventre.
Non abbasserai gli occhi quando mi farò messa, grido, rito, vespro e silenzio. Il mio sterno sarà il tuo giaciglio, i tuoi occhi la mia Meraviglia.



[continua?]



                                                                                         

photo: present of Caos

domenica 11 aprile 2010

Carusa dei fulmini



photo by Viktor Aladzajkov

 


Chissà com’era cominciato tutto? Il tuo cuore di metallo luccicava dal petto sudato quel giorno che giocavi con le compagne di sei anni a raccogliere pesci rossi nel mare vicino Heraion e fiori di zafferano e giacinto. Eri una gracile Alice senza fiammiferi e la tua bellezza di porcellana era così spietata e così sacra da incantare gli uomini mortali, morali e immorali. E gli dei.
Qual era stato l'inizio delle cose? Pluripàra che hai visto il mare limpido della disperazione, che hai morso e masticato carni e brividi… profanata e sprofondata nel purgatorio dell’innocenza, chiusa come il gheriglio in una noce, ti ferivi la lingua coi tuoi denti bianchissimi: perché transitare da un rapitore ad un altro? Libera nos a malo. Il mantra che cantavi mentre ti offrivano tutto quello che non ti occorreva, l’indecenza nei calici traboccanti di bollicine, l’orrore senza lacrime e senza parole.
Cosa c'era prima del principio? Oltre la felicità e oltre la tristezza?
Rimane, adesso, come un bisogno da saziare, un fuoco d’artificio di lapilli fluorescenti, una perpetua vampa di dicembre, una caduta verticale verso mondi profondissimi, galassie senza pleonasmi e segni diabolici: tenerezze spietate di mani straniere.  Come guardare il sole da un’unica finestra. La fame e le parole, sono piccole bambine da allevare con gli occhi fusi ai nervi. 
E' la disciplina del reduce da guerra che sapevi da sempre e negli anni che venirono -la discesa dell’esercito nemico- hai ricucito gli angoli smangiati delle tue fessure, delle tue scissure, con l’ago e il filo spinato. L’unico diamante l’hai messo a coprire il punto fermo e il corpo muto è diventato parlante, un affresco esposto dietro i vetri di Notre-dame, col cuore malato e una spada nascosta, nel guscio toracico.
L’inizio e la fine di tutto,  si sovrappongono, come il bene e il male, dentro i tuoi fulmini.

 

sabato 30 gennaio 2010

ù

«Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l'altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per poter amare senza dominare l'altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire»

(R.W. Fassbinder).

martedì 13 ottobre 2009

(желание)




Tono Stano photo


C'è come un silenzio che è musica.
La parola è la
rinuncia di un lusso.
E' una cosa che assomiglia a danzare, un ordine, un'armonia naturale e senza sforzo.
Gli sguardi nudi sono rotondi, privi di spigoli. Parentesi tonde. Closed and open. Discorsi.
Una cosa che ha inizio e fine. Un senso.
E' tutto lì, in quella parola che non dici -amore-, il mio indispensabile.
Con questo linguaggio muto delle volpi, grida il mio nome, stanotte, voglio arrossire.
Posa poi un bacio sulla mia bocca e fammi dormire a lungo, senza sogni.

(siamo bambini fenicotteri, no? sotto le coperte, i nostri piedi cinesi, si fanno carezze)



aggiornamento, Novembre 2009
Ciao, Alda


La morte, Alda,
è un impero di angeli
che precipita sul cuore.
Il fuoco ha invaso le mie mani.
Non sapevo che il corpo
potesse avere arterie
di fuoco e di beatitudine.
E da qui ti guardo,
da ogni luogo in cui tu respiri.
Anche se non credi,
io ti porterò con me
sulla cima dell’universo
dove tu potrai vedere
le tempeste della tua vita.
E scoprirai quel giorno
che Dio fa una cosa sola:
disperde il nostro profumo
nell’infinito
per dare vita al Suo respiro.
A. M.

domenica 13 settembre 2009

stíchos


image by web

She writes:

Sentivo che se non avessi scritto, nessuno mi avrebbe riconosciuto come essere umano. La scrittura allora, era la mia sostituta, se non ami me, ama quello che scrivo, amami per questo.
E' molto di più: un modo per ordinare e riordinare il caos dell'esperienza.
Non sei più la stessa, dopo. E' un vaso di Pandora: non c'è più niente di semplice.

E' vero, piccola Plath, la scrittura è un secchio di sangue che cola da un assito sbrecciato, dal buco di una membrana di bitume e polimeri. E' l’ignoto svelato che mormora e bisbiglia e chiede ascolto assoluto. Ma è anche lo straccio che assorbe e trattiene tonnellate di atomi, detti pensieri. Così, nascondiamo piccoli semi dorati  nelle parole di pietra, simbolizziamo desideri e inibizioni cercando (come un devastante remare nel mare in tempesta) demoni o angeli pietosi che disvelino le nostre ruote di pavone, le inani inadeguatezze agli standards comuni.
Che giocherellino con le pietre, come un gingillo innocente di bimbi, frantumandole, per farne sabbia che danza nel vento.  Resteremo sempre piccoli pesci marini contro fondali di perle grezze, contro (o verso) amore e furore.
C'è chi nasce per amare, chi per essere amato. Qualcuno ha poi la fortuna di essere predestinato ad entrambe le cose, contemporaneamente. E' bene che tu lo sappia, mia cara, nessuna scrittura ci protegge dagli incubi. Ma ogni scrittura può essere una fede nuziale. O una carezza, sul cuore fragile.

giovedì 23 luglio 2009

Il labirinto, il filo, la luna




photo by MY Jalili


Benvenuti all’inferno, questa è casa mia.
Arredi fuoco furioso e luce diesel e idrocarburo aromatico e vapori di tulle di vergini spose.
Bravi, siete arrivati alla tana del lupo e il lupo sono io. Avete mai avuto paura fino a tremare come una foglia di banano? Avete mai temuto che aprendo una porta avreste trovato qualcuno appeso con una corda fatta coi lacci delle scarpe e a quel pensiero quasi vi esplodevano il petto, le retini e il reticolo compatto dei vasi sanguigni? Che cazzo fate tutto il giorno? Su e giù cercando qualcosa per ammazzare la noia, trovare da mangiare, tirare avanti, fare dei figli e una scopata ogni tanto. Impiegatucci dalle nove-alle cinque, battete veloci i tasti dei vostri computer-facebokkini, con la perizia parsimoniosa di un vecchio chirurgo di Beverly Hills, con gli occhi crocefissi di una sacra puttana sacrificata al suo dio, dentro una cloaca maxima coperta fino all'orlo di acido fenico e piscio di capro, come se nulla non fosse previsto per voi, sin dalla vostra nascita. E con la musichetta hip pop, mentre galleggiate increduli in un limbo chimico di disamore, coprite il vostro ridicolo vagito di un quotidiano, disperato tentativo di venire al mondo.
In fondo siamo solo fottuti scorpioni, scarabei-ametista, stercorari epilettici, troppo impegnati a cercare le bugie per vedere la verità. La verità è semplice, è una catenina senza santo, che ci sobbalza sul collo.
Benvenuti all'inferno, dimenticatevi cosa siete e cosa eravate -il vostro giocattolo a molla, le stazioni, i biglietti scaduti, il percorso dell'autobus delle Ramblas, il cretto feroce dentro la testa, l'olio santo che lucida la spada, le domeniche di Maggio- e se vi offro un the al rabarbaro, in questa casa circondata dalla fogna, dovete accettarlo e berlo nella mia stessa tazza.
Sentirete allora l'entusiasmo del vento trafiggervi le ossa, lacrime meticce faranno un ricamo di conchiglie e grani di papavero, sull'orlo del cuore, e finalmente, in questa malerba senza fiori, non avrete più paura, di avere paura.

martedì 9 giugno 2009

eterogenesi dei fini

E respiro con le ali negli occhi.

Alcune cose non sono frutto di calcolo, ma del bisogno dei ritorni sul nostro limite/confine che qualcuno ha avuto il coraggio di varcare per caso, per scelta o banale transfert cognitivo. Poi, restano genialità distorte, felicità salate sulle labbra, baci timbrati su polaroid e cenere alla cenere. Così ogni volta pensi 'mai più' lo sferragliare di un treno in corsa, lo stridìre del ferro in attrito, solo quaresima e digiuno. Il ramadam dei sensi. Solo bacche, ginepro e aghi di pino fin dentro la carne.  Arriva il tempo di raccogliersi dentro la corazza senza più scaglie, come baby tartarughe moresche sul bordo di un filo d’acqua, arroventato da un sole bastardo che brucia e abbaglia e confonde.. perché di troppa luce si può anche morire, di un morire lento dentro troppe domande, di un morire veloce dentro poche risposte.Ora c’è questa immagine di tartaruga di ghiaccio che galleggia sull’oceano, dentro un umido ritaglio che tramonta, nel silenzio elementare delle cose piccolissime. L'insofferenza per la bellezza è identica a quella che si prova per la banalità, è la stessa paranoica ossessione degli angeli ciechi che ti si arrampica dentro liberando il veleno zuccherino di serpe sulla carne. Nel dormiveglia, dondolando sull’acqua. Lo scrivo come sento e come posso, ascoltandolo vibrare, lieve,  il tamburo ad acqua tra i polmoni.
Io
non temo mai le vampe, ma i tizzoni quasi spenti, dell’eden di Hillmann.